Message in a Grammy

Message in a Grammy
Di Alfredo Ranavolo
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La cerimonia degli "Oscar della musica" è stata spesso occasione per fare comunicazione o spettacolo in altro modo. L'edizione 2015 non ha fatto eccezione.

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“Una musica può fare” cantava qualche anno fa Max Gazzè. Ben prima lo avevano già dimostrato in tanti: di politica erano intrisi i testi di tanti cantautori italiani negli anni ’70, un impegno sociale che arrivava un po’ mutuato dagli chansonnier francesi e da quelli poi diventati miti del folk rock americano.

E, ancor più indietro, i primi “vagiti” del blues, simbolo della lotta degli afroamericani, allora in modo sprezzante chiamati molto più comunemente “negri” per affrancarsi dalla schiavitù.

La musica è sempre stata veicolo di messaggi. Di ogni tipo, non soltato politici. E non necessariamente con testi impegnati. Basta una parola d’artista, piazzata lì, sembrerebbe quasi per caso.

L’endorsment di Martin ed Eminem gay friendly

Perfino un’occasione considerata dai più frivola, come i Grammy Awards, sono stati tante volte forieri di note all’ampio pubblico, più o meno esplicite. Lo fu molto quella di Chris Martin nel 2004, quando il palco di Los Angeles fu occasione, per il leader dei Coldplay di manifestare il proprio endorsment a John Kerry, in lizza (e poi sconfitto) contro George Bush per le elezioni presidenziali americane.

E che dire di quando, tre anni prima, Eminem volle mettere a tacere le insistenti voci su una sua presunta omofobia, cantando “Stan” assieme a un’icona gay come Elton John?

Inequivocabile il (molto) nude look col quale si ritrovò sul palco Pink, durante la sua esibizione del 2010, mentre cantava “Glitter in the air”.

Quanto conta la vita dei neri

L’elenco sarebbe ancora lungo, ma c‘è appena stata un’edizione dei Grammy e sarà meglio, dunque, attenersi all’attualità.

Che rimanda un po’ alle origini della protesta musicale, visto che il messaggio più forte arrivato da Los Angeles è a sostegno di una causa razziale. La schiavità non c‘è più, ma una totale integrazione nemmeno, come insegnano i numerosi fatti di cronaca che hanno visto la morte di persone di colore disarmate, spesso per mano di poliziotti.

Episodi che hanno dato origine alla campagna “Blacks lives matter” (Le vite dei neri sono importanti), slogan ricordato nel corso della cerimonia da numerosi artisti.

A cominciare da Prince, che nel presentare i candidati all’Album dell’anno ha detto “cosa ci ricordano gli album? Gli album hanno ancora importanza. Come i libri e come la vita dei neri. Hanno ancora importanza”.

Il gesto delle mani alzate in segno di resa, che replica quello di Michael Brown, 18enne ucciso a Ferguson da un agente, è stato replicato da Pharrell Williams e dal coro gospel che accompagnava Beyoncé.

Premiate Beyoncé!

Di tutt’altro tenore il gesto di un altro afroamericano, Kayne West. Coprotagonista ancora Prince e la sua presentazione dell’Album dell’anno. All’annuncio della vittoria di Beck con “Morning phase”, Kayne è scattato sul palco, quasi in una replica di quanto aveva fatto agli Mtv Awards del 2009.

Il rapper sembrava puntare diritto verso la statuetta nelle mani del musicista californiano, per lo stesso motivo che lo aveva spinto sei anni fa a interrompere una cerimonia di premiazione: secondo lui la “vera” vincitrice era la sua amica Beyoncé (che, comunque, di premi ne ha presi tre, anche se di minore importanza).

Stavolta si è fermato in tempo e Beck, con spirito pronto e aplomb più britannico che della west coast, lo ha invitato a restare sul palco. Sul momento tutti l’han buttata sullo scherzo, ma dopo la fine della serata West ha chiarito che non lo era affatto.

Think again if you thought Kayne West was kidding during Beck's album of the year Grammy. #cbs12ampic.twitter.com/BiP8CwgPMM

— WPEC CBS 12 News (@CBS12) 9 Febbraio 2015

Con un’infelice affermazione: “i Grammy, se vogliono che i veri artisti continuino a tornare, devono smettere di giocare con noi. Non abbiamo più voglia di giocare con loro. Beck deve rispettare la qualità artistica: avrebbe dovuto dare il suo premio a Beyoncé”.

La campagna antiviolenza sulle donne di Obama

Decisamente più politico il videomessaggio messaggio del presidente americano Barack Obama, nell’ambito della campagna “It’s on us”, iniziata dalla Casa Bianca a settembre: “una donna su cinque in America è stata vittima di stupri o tentati stupri, una su quattro di violenze. Non è ok, bisogna fermare tutto questo. Gli artisti hanno il potere di farci pensare e parlare di ciò che conta e tutti noi, nella nostra vita, abbiamo il potere di dare l’esempio”.

La nipote di Johnny Cash contro i pirati

Sembra venire da un altro tempo, come la sua musica, l’appello della cantante folk Roseanne Cash, nipote del leggendario Johnny, che si è scagliata contro la pirateria musicale.

“Chi non ruberebbe una mela perché si sente in diritto di rubare un album?” ha affermato. Ma i download illegali sono ormai stati in parte soppiantati dall’ascolto on line perfettamente legale su Spotify, Deezer o lo stesso Youtube. Non molto più favorevole agli artisti dell’illegalità.

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La torera Madonna

In una maratona come quella dei Grammy tante altre importantissime questioni affrontate dagli artisti prima, durante o dopo lo show si saranno perduti in mille rivoli. Alcuni nemmeno saranno stati facili da cogliere. Madonna, per esempio, abituata a stupire e provocare sempre, vestita da torera e con dei “tori” come ballerini, avrà voluto spezzare una banderilla in favore della corrida, che così tanti detrattori vanta nel mondo per la sua gratuita violenza contro gli animali?

Madonna v. matadors: who wore it best? http://t.co/Zv76bZ3L4Fpic.twitter.com/25k7D9hxlk

— Carly Mallenbaum (@ThatGirlCarly) 9 Febbraio 2015

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