Rassegna economica del 2014: Ue vs Russia, la nuova guerra fredda è economica

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Di Euronews
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Con l’annessione della Crimea a marzo l’economia russa entra in una nuova e turbolenta fase. Per la prima volta dal crollo dell’Unione Sovietica su Mosca si abbatte la scure delle sanzioni occidentali.

La portata si amplia di pari passo con l’aggravarsi della crisi nell’est dell’Ucraina e i risultati non tardano a farsi sentire. Già in fase di stanca, l’economia russa accusa il colpo.

Mosca comincia a pagare la sua dipendenza dall’export di petrolio e gas. Dicendola con l’economista Warren Buffett: “È quando la marea scende che ci si rende conto di chi fa il bagno nudo”.

E senza la coperta del petrolio, da giugno crollato di oltre il 40%, fin sotto i 65 dollari al barile, Mosca comincia a sentirsi davvero nuda.

Il rublo crolla e sui mercati valutari si scopre Cenerentola rispetto a dollaro ed euro. La locomotiva dei consumi, che negli ultimi anni aveva trainato la crescita, comincia a ingolfarsi. A correre sono invece i capitali, che terrorizzati dalla congiuntura prendono la fuga e imboccano la via dell’estero.

“Unione Europea e Stati Uniti hanno messo barriere dappertutto per bloccare l’afflusso di capitali nel nostro Paese – diceva a fine novembre il ministro delle Finanze russo, Anton Siluanov – e questo ci costa l’equivalente di 32 miliardi di euro all’anno. Certo, si tratta di una cifra enorme. Se però guardiamo alla fuoriuscita di capitali nel complesso, prima parlavamo di 80 miliardi, mentre ora si potrebbero sfiorare i 105”.

Ad agosto Mosca vieta l’importazione di numerosi prodotti alimentari da Unione Europea e Stati Uniti. Lunga lista della spesa e forte dipendenza dall’import fanno però anche aumentare i prezzi e schizzare l’inflazione, che arriva a sfiorare il 10%.

Eurostat stima i mancati introiti in 12 miliardi di euro. Fra i coltivatori cresce la rabbia e l’Europa incassa il colpo a macchia di leopardo. Fra i paesi più colpiti la Polonia, che si è trovata a mandare al macero mele per quasi un miliardo di euro.

La crisi riaccende anche la battaglia per il gas. Primo fornitore dell’Europa, Mosca chiude i rubinetti e abbandona il progetto di South Stream, il gasdotto che avrebbe dovuto servire la parte orientale e meridionale del Vecchio Continente. Putin si prodiga invece in abbracci alla Cina.

L’economia è tuttavia più realista del Re. Nonostante il valzer di sanzioni e rappresaglie, Russia e Unione Europea non possono fare a meno di continuare a commerciare fra loro. “Quanto” dipende però dalla situazione geopolitica.

“Dovremmo anzitutto arrivare a porre le basi di un nuovo ordine in questa regione che oggi si estende fra Russia ed Unione Europea – dice ai nostri microfoni Peter Balazs, direttore del Centro per gli studi sull’allargamento UE all’Università Centroeuropea di Budapest -. E ciò, per chiarire le linee di confine, ma anche per rispondere a una serie di questioni inerenti la sovranità nazionale e le tensioni etniche. Questo deve essere il punto di partenza”.

Se l’Occidente accresce il pressing perché Mosca riveda la sua politica in Ucraina, Putin risponde dal canto suo, accusandolo di motivazioni pretestuose.

“Per quanto riguarda le sanzioni, non si tratta di una semplice reazione stizzita degli Stati Uniti e dei loro alleati alla sollevazione e al colpo di Stato in Ucraina e alla cosiddetta ‘primavera della Crimea’ – l’interpretazione di Putin -. Sono sicuro che se nulla di tutto ciò fosse accaduto, si sarebbero inventati qualcos’altro per arginare la crescita della potenza russa”.

Un dialogo fra sordi, che sotto l’albero di Russia ed Europa ha portato il presagio di una Guerra Fredda, in apparenza ancora lontana dallo sgombrare gli orizzonti dell’economia.

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