Le elezioni europee arrivano in un momento di grande tensione nel Vecchio Continente. La crisi della zona euro ha colpito particolarmente i Paesi del Sud Europa e nel voto di maggio, nei 28 Stati membri dell’Unione, la protesta prende corpo. L’elezione dei 751 deputati europei registra la crescita dei consensi dei partiti nazionalisti.
L’altra novità è rappresentata dall’indicazione dai candidati alla presidenza della Commissione europea. Per la prima volta, i 5 rappresentanti dei partiti tradizionali si sono confrontati in numerosi dibattiti televisivi.
I risultati non sconvolgono le vecchie gerachie: il partito Popolare europeo conferma di essere la forza politica di maggioranza relativa, seguito dai Socialisti. Tutti gli altri gruppi principali, i Liberali, l’estrema sinistra e i Verdi raccoglieranno meno del 19% dei voti.
La vera sorpresa, anche se la tendenza era chiara, è l’affermazione dei partiti nazionalisti di estrema destra, populisti e antieuropei. L’Italia va in controtendenza: spinto dall’ascesa di Matteo Renzi alla guida del Paese, il partito Democratico va oltre il 40%. In Francia e Gran Bretagna, Marine Le Pen e Nigel Farage conquistano la maggioranza relativa.
Il leader dell’UKIP riesce a formare un proprio gruppo che si scioglierà dopo appena tre mesi, a causa dell’uscita di una deputata. Il Front National non riuscirà a formare il proprio gruppo. Il populismo anti-europeo, nonostante l’ottima affermazione, viene confinato nel gruppo dei non iscritti.
Nel giro di due mesi, i neo deputati sono chiamati a scegliere il nuovo presidente della Commissione europea. Il suo nome è già stato indicato nel corso della campagna elettorale: è il popolare Jean Claude Juncker a prendere il posto di Jose Manuel Barroso.
Il rinnovo del parlamento europeo nel 2014 fa registrare anche un record. Negativo. Solo il 42.5% degli elettori si reca alle urne per eleggere i propri rappresentanti. Una sfida ulteriore per la nuova classe di governo.