Argentina a rischio default per i "fondi avvoltoio"

Argentina a rischio default per i "fondi avvoltoio"
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L’Argentina è a rischio default per colpa dei fondi americani soprannominati “fondi avvoltoio”.

Per il Paese è una corsa contro il tempo. Dopo la sentenza della Corte suprema americana, il Paese deve trovare entro il 30 luglio un accordo con i grandi fondi di investimento statunitensi che non hanno accettato la ristrutturazione del debito avvenuta dopo i default dei primi anni 2000 e reclamano oggi 1,3 miliardi di dollari di pagamenti.

La sentenza della Corte americana è arrivata dopo un contenzioso durato quasi un decennio. L’Argentina, 14 anni fa, fece bancarotta per 100 miliardi di dollari. Uscita dalla fase di pura emergenza, Buenos Aires propose due ristrutturazioni del debito: la prima nel 2005 e l’altra nel 2010.

In pratica il governo argentino è riuscito a rimpiazzare il 92% dei bond di vecchia emissione, quelli ad alto rischio e con elevati tassi di interesse, con nuove obbligazioni ‘post default’ meno costose per le casse nazionali.

L’attuale presidente dell’Argentina Cristina Fernandez de Kirchner ha spiegato all’opinione pubblica argentina che intende pagare “il 92% dei creditori che hanno accettato gli accordi di ristrutturazione. L’8% ha invece rifiutato.

L’ultima sentenza, arrivata il 16 giugno, giusto a due settimane dalla scadenza per il pagamento degli altri creditori, ha dato ragione agli uomini di Wall Street. Così i 539 milioni di dollari depositati dall’Argentina al fiduciario della banca Mellon di New York per chiudere la partita della ristrutturazione sono stati bloccati.

Quello dei “fondi avvoltoio” è un modus operandi abbastanza diffuso. Comprano una fetta di debito di un Paese in grande difficoltà per pochi spiccioli e per fini esclusivamente speculativi, e chiedono alle banche il pagamento dell’intero ammontare del debito, fino ad incassare il 400 per cento dell’investimento.

“Probabilmente questo sta per portarci verso un default tecnico”, ha fatto presente il Ministro dell’economia argentino. “Qualunque modo la si guardi, questa decisione sta portando l’Argentina verso il rischio di una nuova grande crisi economica. Le persone, il paese potrebbero trovarsi in una situazione gravissima e con un debito doppio rispetto a quello del 2001.”

A fine mese dovrà essere trovato un accordo al fine di rispettare i termini e pagare tutti. Le banche internazionali si sono già lanciate sull’affare, proponendosi come intermediari tra l’esecutivo di Cristina Kirchner e le società di investimento americane, incassando cospicui proventi.

Per approfondire la questione, Euronews ha parlato con l’economista Fausto Spotorno, direttore del Centro per gli Studi Economici argentino e membro dell’agenzia di consulenza “Orlando Ferreres y Asociados”.

Vicenç Batalla, Euronews: “Che probabilità ci sono che lo Stato argentino finisca in bancarotta come nel 2001? Si troverà un accordo prima del 30 luglio negli Stati Uniti?”

Fausto Spotorno: “Credo che le probabilità che l’Argentina finisca in default siano basse. Sul serio, sono molto basse. La verità è che nessun Paese si suicida così, a questo modo. Il default non conviene all’Argentina, non conviene a chi ha rifiutato la ristrutturazione né a nessun altro. E la soluzione non sembra poi così complessa. È tecnicamente complessa, però dal punto di vista politico non appare così complessa”.

Euronews: “E le riserve argentine sono sufficienti per poter arrivare a pagare? Si parla di un onere di 15 miliardi di dollari”.

Fausto Spotorno: “In cash, in contanti, no. Le riserve argentine oggi ammontano a poco più di 29 miliardi di dollari. Utilizzare 15 miliardi per pagare tutti questi giudizi in contanti sarebbe troppo. Le cifre che abbiamo noi sono le seguenti: il procedimento che sta facendo notizia, in particolare, vale circa 1,5-1,6 miliardi di dollari. Oltre a quello ci sono altri 10 miliardi di dollari di fondi che sono già a contenzioso in differenti procedimenti e che possono rapidamente arrivare alla stessa soluzione del primo. Inoltre ci sono altri 5 miliardi di dollari di fondi che non hanno fatto causa al tribunale di New York ma che neppure si sono presentati alla ristrutturazione del debito. Calcoliamo che, di questi 17 miliardi di dollari, ai valori attuali sono solamente 15 miliardi quelli che possono arrivare a giudizio e incassare il cento per cento dei pagamenti. Dato che l’Argentina non ha così tante riserve in contanti, dovrà emettere un qualche titolo di debito o trovare qualcuno che la finanzi per pagare questi giudizi. Di fatto, le sole voci che l’Argentina sta cercando una soluzione al problema con chi ha rifiutato la ristrutturazione hanno fatto risalire i bond e abbassare i rendimenti”.

Euronews: “Il conflitto arriva proprio in un momento in cui la situazione economica argentina non è molto buona. Lei crede che l’atteggiamento, la posizione che ha adottato la presidente Cristina Fernández sia la più corretta?”

Fausto Spotorno: “No, non credo. Penso che la questione del default argentino, a partire dal principio nel 2001 sino ad oggi, sia stata gestita male. L’Argentina ha commesso un errore quando ha annunciato un default senza essere preparata legalmente per affrontarlo. Poi ha atteso troppi anni per offrire la ristrutturazione del debito e ha finito per offrire un primo scambio che ha avuto solo il 76% di consensi. Per alcuni dei bond che esigevano il cento per cento di ripagamento tale scambio è risultato molto basso, a mio avviso. Di fatto, tutti questi fondi che hanno intentato causa e che hanno vinto contro l’Argentina, hanno comprato i bond dopo il primo scambio. Se l’Argentina avesse gestito meglio questo primo scambio nel 2005, tutto questo probabilmente non sarebbe successo”.

Euronews: “C‘è un’ultima domanda che non posso evitare di fare, dopo che la selección argentina è arrivata alla finale dei Mondiali di calcio. Se la squadra vince il titolo, questo farà bene all’economia del Paese?”

Fausto Spotorno: “No. Potrà dare benefici all’immagine della presidente… al massimo per un mese! Però in Argentina siamo in una situazione di recessione, di perdita di posti di lavoro – almeno nell’economia emersa – e di inflazione rampante. Un’inflazione che quest’anno terminerà vicino al 40%. Già oggi l’inflazione è al 41,4% annuale. Tutto questo consumerà in poco tempo qualsiasi beneficio possa arrivare da una vittoria al Mondiale”.

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