Coltivando il biocarburante del futuro

Coltivando il biocarburante del futuro
Di Euronews
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Sembra un campo coltivato come tutti gli altri ma nasconde forse il biocarburante del futuro per gli aerei. Ad Aliartos, nella parte centrale della Grecia, che un team di ingegneri agrari del CRES sta studiando i contenuti oleosi delle piante, i loro fattori di adattamento al clima mediterraneo e la resa dei raccolti.

Myrsini Christou, ne descrive alcune: “Il ricino è una pianta grassa annua del Mediterraneo. Produce circa 4-5 tonnellate di semi per ettaro ogni anno. Essi presentano un’elevata concentrazione di olio, circa il 40-50 per cento”.

“La cuphea, una pianta che proviene dall’America, è ancora in fase sperimentale. La resa è ancora molto scarsa, meno di una tonnellata per ettaro di semi. E la concentrazione di olio è solo del 20 per cento circa”, prosegue la ricercatrice.

“Il cartamo è una pianta dell’Asia. Pensiamo che sia ottima per l’agricoltura mediterranea. Ne abbiamo varietà autunnali e primaverili, si adatta a ogni clima e suolo. Riteniamo possa essere introdotta nella pratica agricola entro cinque anni”, conclude Christou.

Ma dove vengono analizzate le caratteristiche chimiche di queste piante? A Lille, nel nord della Francia, si sta cercando di capire in che modo le molecole verdi possano sostituire in maniera efficiente gli estratti da risorse fossili.

Franck Dumeignil, chimico dell’Università Lille1 e coordinatore del progetto europeo Eurobioref, racconta: “Abbiamo sviluppato un nuovo tipo di carburante per aerei, che abbiamo già testato su un vero e proprio reattore. Sono stati prodotti 15 metri cubi di una miscela combustibile, di cui il 10-20 per cento è di origine vegetale Questo ha reso il carburante più efficiente e meno inquinante. Ora stiamo cercando di ottenere la sua certificazione”.

Una volta che nelle bioraffinerie è stato estratto combustibile dalle piante, cosa si fa con gli scarti? Torniamo in Grecia, dove con un gassificatore gli scienziati hanno studiato gli scarti vegetali più adatti ad essere usati per un’efficiente produzione di energia.

I rifiuti finali di quest’ultimo processo sono facilmente riciclabili nell’ambiente, come spiega Kyriakos Panapoulos, ricercatore del CERTH: “L’unica cosa che rimane dopo il trattamento della biomassa è della cenere. Questa contiene una piccolissima parte di elementi inorganici, come potassio, calcio o ferro che le piante hanno tratto dal suolo. Dopo la gassificazione, di solito restituiamo alla terra tutto questo materiale come compost, chiudendo il ciclo vegetale”.

Questo è solo uno dei numerosi progetti finanziati dalle Iniziative Tecnologiche Congiunte (JTI), una nuova forma di collaborazione pubblico-privato per sostenere la ricerca in Europa in aree strategiche molto diverse. Ad esempio quella del trasporto pubblico.

A Brugg, in Svizzera, saliamo su un autobus alimentato ad idrogeno parzialmente prodotto usando energia rinnovabile. Se ne trovano di simili a Bolzano e Milano, ma anche a Londra e Oslo. Sono mezzi anche più silenziosi di quelli che siamo abituati a vedere in città.

È stato costruito a Mannheim, in Germania. Qui i mezzi ad idrogeno per ora vengono assemblati come prototipi sperimentali. Apportate alcune migliorie tecniche, la produzione industriale potrà partire.

Helmut Warth, ingegnere meccanico e coordinatore del progetto Daimler Buses/CHIC, racconta: “Lo svantaggio di questi veicoli è che il prezzo è ancora troppo alto rispetto a bus diesel. Oltre al fatto che gli operatori devono creare le infrastrutture per le stazioni di rifornimento di idrogeno”.

Si è tentato di risolvere queste problematiche ad Anversa, dove un team di scienziati ha progettato l’autobus a idrogeno del futuro. Ha un’autonomia di circa 300 chilometri. I ricercatori stimano che in tutto il suo ciclo di funzionamento produca circa 1000 tonnellate di anidride carbonica in meno rispetto ad un autobus tradizionale.

Paul Jenné, coordinatore del Van Hool NV/High V.LO-City descrive il mezzo: “La principale caratteristica è che si tratta di un bus ibrido a celle a combustibile. Ibrido perché ha due fonti di trazione. Una è la cella a combustibile che fornisce energia direttamente ai motori elettrici. L’altra è rappresentata dalle batterie di trazione che fanno la stessa cosa. Tutto è controllato elettronicamente in modo che l’utilizzo di energia sia massimizzato”.

Il rifornimento di questo prototipo di bus a idrogeno deve avvenire presso speciali stazioni di servizio. L’operazione richiede 11 minuti, a seconda della temperatura esterna. Le regole di sicurezza da rispettare sono simili a quelle di un normale distributore di benzina.

Un bus a idrogeno è circa sei volte più costoso di uno tradizionale. Sono notevoli anche le spese per la sua manutenzione.

Tuttavia Roger Kesteloot, ad De Lijn, l’azienda di trasporto pubblico che opera nella regione delle Fiandre in Belgio, è ottimista: “Siamo in una fase sperimentale, anche dal punto di vista economico. Ma col tempo i prezzi scenderanno naturalmente. E questo aprirà una serie di possibilità, nel medio o lungo termine, di inserire più autobus a idrogeno nelle nostre flotte”.

La ricerca, dunque, deve andare avanti. La meta è la mobilità del futuro.

Per maggiori infomazioni:
www.eurobioref.org
www.chic-project.eu
www.highvlocity.eu

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