L'Eta fa un passo avanti verso la 'storia'

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Di Euronews
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Riconoscendo i danni causati e accettando la legalità delle detenzioni, l’ETA a dicembre ha fatto un passo importante per provare a sbloccare la situazione dei detenuti appartenenti al gruppo separatista basco che ora potranno negoziare individualmente i termini per una scarcerazione anticipata. I loro avvocati cercheranno probabilmente di migliorare la loro situazione, chiedendo che vengano trasferiti nelle prigioni del Paese Basco. Finora però il governo spagnolo, guidato da Mariano Rajoy, non sembra disposto ad alcuna concessione.

Il trasferimento dei terroristi nelle carceri basche è da sempre una richiesta di Euskadi.

Perenti e amici dei prigionieri non hanno mai accettato la politica di ‘dispersione penitenziaria’ voluta per impedire ai terroristi qualsiasi contatto tra loro.

Urtzi Errazkin, membro di un’associazione che raggruppa i familiarid dei detenuti: “In Spagna ci sono circa 400 prigionieri. Solo sei sono detenuti nel Paese Basco. Il 45% è in Andalusia. Molto lontano
dal Paese Basco. Alcuni sono a mille, millecento chilometri di distanza. Dobbiamo chiarire che siamo parenti. Non abbiamo fatto nulla e abbiamo il diritto di visitare un nostro familiare, un amico. Perché ci infliggono questa condanna? Perché dobbiamo percorrere così tanti chilometri, affrontando costi e pressioni psicologiche notevoli”.

Argituz, associazione basca per i diritti umani, ricorda che la politica di ‘dispersione carceraria’ va contro i principi delle Nazioni Unite sull’incarcerazione e la detenzione. Andrés Krakenberger, uno dei suoi membri ci ha confermato che diversi appartenenti all’ETA sono stati torturati in carcere:
Andrés Krakenberger, Argituz:

“Sono numerose le torture che si sarebbero verificate e, insisto, non solo nel contesto basco. La tortura è stata praticata per soffocare la rotesta sociale o contro gli immigrati. A volta anche con chiare tinte di xenofobia e razzismo”.

Filipa Soares, euronews:
“Il trattamento in prigione o nelle caserme della Guardia Civile degli esponenti dell’Eta sembra essere un tabù in Spagna. Il ministro dell’Interno non ha voluto rilasciarci un’intervista e neppure i responsabili del sistema penitanziario, né il Difensore del Popolo Basco. Anche la Guardia Civile non ha voluto commentare, ma ci ha detto che i membri dell’ETA vengono addestrati affinché dichiarino di essere stati torturati”.

Iñaki Rekarte, 42 anni, ha scontato 22 anni di carcere per l’autobomba di Santander del 1992.

L’obiettivo era un pullmino della polizia, rimasero invece uccisi due civili. Diciasette le persone ferite.
Da tre anni godeva di una certa libertà, è uscito di prigione definitivamente lo scorso novembre.

euronews l’ha incontrato in un paese della Navarra dove adesso vive.

Filipa Soares, euronews
-È stato torturato?

Iñaki Rekarte:

“Sì, in prigione! Appena dentro il cellulare delle forze dell’ordine hanno iniziato a picchiarmi. Ma è stato niente confronto a quanto è accaduto dopo.

Mi hanno fatto esplodere il timpano dell’orecchio con un pugno.

Mi hanno messo un sacchetto di plastica in testa, sono svenuto varie volte perché non respiravo. È terribile, non hai ossigeno, cerchi di respirare e non ce la fai. Per cui svieni. Rinvieni e loro continuano.
Ancora e ancora.

È terribile, erano i metodi dello stato spagnolo, usati fino a poco tempo fa, giustificati dalla lotta contro l’Eta.
Niente invece giustifica niente, ma lo stato riusciva comunque a nascondere tutto questo, dicendo che la realtà era travisata dai componenti dell’Eta.
Un’emerita menzogna, la Spagna ha sempre usato la tortura, sempre, sempre. Cosa che invece non ha fatto la Francia”.

In carcere, Rekarte ha deciso di lasciare l’organizzazione, a ispirarlo uno scrittore basco.

-Quando ha deciso di lasciare l’Eta?

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“Ci pensavo da parecchio, ma la decisione vera e propria è arrivata con la nascita di mio figlio.
Una persona mi disse che altri avevano avuto figli e non per questo avevano lasciato l’organizzazione.
Ho risposto che ciascuno sa di sé e che non volevo lasciare mio figlio senza padre.
È stato un momento molto duro, perché anche quando sei sicuro di quello che stai facendo, non è semplice prendere una decisione.
Io sono arrivato a un punto per cui mi sentivo un vigliacco a far parte dell’Eta ma allo stesso tempo si trattava di una situazione confortevole”.

-Che cos‘è l’Eta oggi?

“In questo momento è una marchio usato da qualcuno in nome del popolo basco, nella convinzione di rappresentare la cultura basca, l’uomo basco. Ma non è così.

Il vero problema sono i membri dell’Eta che sono in carcere, fuori dal carcere l’Eta oggi è niente.

Far parte dell’Eta era un modo per alcuni per fare soldi, molti soldi. Ma si è trattato di un gruppo ristretto di persone, che non hanno nessun altro tipo di supporto. Infatti, qui, solo essere un nazionalista basco può significare sostenere l’Eta. Novanta persone su 100 invece sono addirittura contro l’Eta. Ed è così da molto tempo. Il vero problema è rappresentato da coloro che sono ancora in carcere. Questo è tutto”.

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