Siria come l'Iraq? L'ipotesi militare e il rischio di guerre interconfessionali

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Al brusio diplomatico si sovrappone il rombo degli aerei da guerra. Come quelli che scaldano i motori nella base turca di Incirlik, la più vicina alla Siria.

Per molti l’intervento militare è questione di tempo. Ma, malgrado le dichiarazioni bellicose degli ultimi giorni, dalle sfumature si capisce che la scelta è molto delicata e pone numerosi rischi.

La domanda che tutti si pongono è: si va verso un nuovo Iraq?

Dieci anni dopo un intervento che avrebbe dovuto riportare la pace nella regione, il Paese è dilaniato dalla guerra interconfessionale tra sciiti e sunniti.

Un intervento causato da un pretesto, le armi di distruzione di massa, poi rivelatosi falso. Impossibile non cogliere la somiglianza dei discorsi di oggi con quelli di allora.

Nel 2003 l’allora Segretario di Stato statunitense Colin Powell parlava alle Nazioni Uniti: “Quello che vedrete qui è l’insieme di fatti e comportamenti preoccupanti”, disse. “Saddam Hussein e il suo regime stanno nascondendo i propri sforzi per produrre più armi di distruzione di massa”.

Kerry, nei giorni scorsi: “Ciò che abbiamo visto in Siria la settimana scorsa dovrebbe scioccare la coscienza del mondo intero. Sotto ogni punto di vista è imperdonabile e,nonostante le scuse e le ambiguità che alcuni hanno fabbricato, è innegabile.”

Un altro estratto delle parole di Powell nel 2003: “Invece di cooperare attivamente con gli ispettori, Saddam Hussein e il suo regime sono occupati a fare quanto in loro potere per assicurare che gli ispettori non trovino assolutamente niente”.

E, ancora una volta, Kerry: “Il regime siriano ha fallito nel cooperare con l’investigazione delle Nazioni Unite, utilizzandola solo per temporeggiare e per ostacolare gli importanti sforzi per portare alla luce quello che è successo a Damascus nel cuore della notte”.

Se l’opinione pubblica americana ha di fatto attribuito la responsabilità della guerra in Iraq all’amministrazione Bush, i cittadini britannici l’hanno digerita ancora meno. Le menzogne prima e il pantano poi: a Londra non ci si sente pronti a rivivere quell’incubo. Da qui, l’estrema prudenza del governo di David Cameron.

Ai rischi di allargamento del conflitto su scala regionale, tra l’altro, si aggiunge una situazione complicata e potenzialmente esplosiva sul terreno. Se due anni fa a prendere in mano le armi erano stati essenzialmente dei civili, oggi questi contano sempre meno.

Organizzazioni di jihadisti come Al Nosra e il gruppo chiamato “Stato islamico dell’Iraq e del Levante” controllano ormai più soldati sul campo rispetto al “Free Syrian Army”, l’Esercito siriano libero.

Senza contare che, tra le due fazioni, è ormai scontro aperto, con gli estremisti islamici che hanno già cominciato a imporre la Sharia in alcune zone “liberate” del Paese.

Infine ci sono gli alleati del regime, tra cui Iran e Hezbollah, i quali avvertono: se gli Stati Uniti e i loro alleati colpiranno Assad, sarà Israele a pagare il conto.

Un bluff? A prescindere, Israele è rimasto relativamente neutrale sulla questione, mentre la popolazione, temendo per la propria vita, si prepara.

Il rischio esiste ed è significativo. Rudolf Herbert di euronews ha approfondito la questione con la politologa Shada Islam.

Rudolf Herbert, euronews: “Quali potrebbero essere le consequenze di un attacco internazionale condotto dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna o dalla Francia?”

Shada Islam: “In linea teorica, in una situazione ideale, ci dovrebbero essere attacchi molto mirati, chirugici, per colpire i centri militari di Assad, i centri di controllo e di comando, le comunicazioni, l’aviazione. Questo, si spera, dovrebbe convincere Assad che l’Occidente, la comunità internazionale, è seria riguardo alla situazione in Siria e vuole mettere fine all’utilizzo di armi chimiche, vuole mettere fine alla guerra civile che sta devastando il Paese da anni, centomila persone sono state uccise. L’intervento dovrebbe portare Assad a sedersi al tavolo dei negoziati a Ginevra”.

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euronews: “Pensa che i Paesi occidentali dovrebbero attaccare la Siria?”

Shada Islam: “Abbiamo un trattato internazionale che mette al bando l’uso di armi chimiche. Se quest’uomo le ha veramente usate, abbiamo un dovere morale, un obbligo di agire dovuto al trattato. Se l’Occidente, se la comunità internazionale non agisce, se chiude gli occhi sull’uso di gas mortali, che messaggio mandiamo agli altri dittatori?”

euronews: “Ma Baschar al-Assad riceverà il messaggio?”

Shada Islam: “Penso che il messaggio gli arriverà anche se vive nella sua bolla. E il messaggio arriverà non solo a lui, ma anche alla gente intorno a lui e agli altri regimi. Non ci dimentichiamo la Corea del Nord e gli altri regimi che stanno nascondendo armi chimiche,e che potrebbero utilizzarle in futuro”.

euronews: “Ci puo’ spiegare perché l’Iran è coinvolto in questo conflitto e perché gli Hezbollah?”

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Shada Islam: “Stiamo parlando di una regione che ha sempre avuto a che fare con le divisioni di setta. Quando parlo di sette mi riferisco a divisioni dentro l’Islam. La guerra in Iraq ha scatenato un cambiamento nei rapporti di forza che esistono da qualche decennio tra sciiti e sunniti.
L’Iran e gli Hezbollah sciiti sono una comunità, Assad è della setta degli alawiti, che è fazione sciita. L’Arabia Saudita, e il Qatar sono sunniti, wahabiti piu’ precisamente. Il Qatar non lo è ma l’Arabia Saudita si’. Quindi c‘è una lotta di potere in questa antica divisione, tra queste due sette dell’Islam.
E questo è quel che è in gioco nella regione. La Siria è un esempio, ma oltre alla Siria, la stessa cosa sta accadendo in Egitto, ma anche in Libano, e anche all’interno dei territori palestinesi. E questo è qualcosa che noi occidentali non abbiamo considerato con attenzione.
Dobbiamo dire la verità al potere, dobbiamo parlare con l’Iran e dobbiamo parlare con l’Arabia Saudita per fermare e controllare questa pericolosissima ed esplosiva lotta per il potere che sta travolgendo il mondo musulmano. Stiamo esaminando la Siria, ma dovremmo guardare oltre la Siria”.

euronews: “E cosa sta facendo la Lega Araba in questo conflitto?”

Shada Islam: “È paralizzata”.

euronews: “Perché?”

Shada Islam: “A causa delle divisioni di cui ho parlato. Abbiamo bisogno di averli a nostro fianco. Non voglio dire che dobbiamo agire senza una qualche forma di benedizione o di lascia passare da parte della Lega Araba e della Conferenza slamica. Ma non possiamo aver fiducia in loro. È arrivato il momento di un intervento intelligente, saggio e diplomatico”.

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euronews: “Solo un intervento diplomatico?”

Shada Islam: “Avremmo dovuto agire prima, quando avevamo una migliore opportunità, quando abbiamo saputo chi erano i ribelli, quando era davvero una lotta per la democrazia. Ora si è strasformata in una guerra di religione, non era cominciata così. Se avessimo fatto pressioni su Assad, pressioni forti, boicottaggi commerciali, embarghi sugli aiuti, avremmo davvero messo in chiaro che doveva negoziare, allora avremmo potuto fermare tutto questo!”

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