La Turchia ragiona da super-potenza, conflitti interni vanno risolti

La Turchia ragiona da super-potenza, conflitti interni vanno risolti
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È un conflitto lungo 30 anni quello tra la guerriglia del PKK e lo Stato turco, che ora sembra avviarsi verso una soluzione politica. Un passo in avanti impensabile appena due anni fa. Queste immagini mostrano gli elicotteri dell’esercito turco, il più potente della Nato dopo quello statunitense, bombardare, nel 2011, il confine con l’Iraq:

Attentati e rappresaglie militari hanno mostrato i limiti e l’inutilità della soluzione militare, a causa della quale i civili hanno pagato un prezzo pesante. La violenza ha lasciato sul terreno tra i 40mila e i 45 mila morti.

“Il terrorismo non produce risultati. Fino ad ora li abbiamo combattuti e spero che si siano resi conto che la lotta armata non è la soluzione – diceva appena l’11 marzo scorso, il presidente della repubblica Abdullah Gul – La Turchia è determinata, attraverso un’iniziativa unilaterale, ad adottare quelle misure utili allo sviluppo della democrazia. In questo modo porremo fine alle critiche che ci piovono addosso”.

In effetti Ankara ha tutto da guadagnare se riuscirà a chiudere questo violento capitolo della sua storia recente che macchia la vita democratica e la sua immagine sulla scena internazionale.

Come confermano le analisi di diverse firme del giornalimo turco: “La Turchia ha delle ambizioni importanti che vanno al di là dei propri confini. Vuole essere una potenza regionale – spiega la giornalista Asli Aydintasbas – Questo governo filo-islamico vuole essere la guida del mondo sunnita. Quindi, di fronte alle grandi ambizioni per il Medio Oriente e per la leadership regionale, bisogna risolvere questa negativa e sanguinosa lotta interna”.

La scommessa del governo turco non è priva di rischi politici, ma per la maggioranza dei curdi e dei turchi è già stato versato troppo sangue.

“Penso che questa mossa del governo rappresenti un passo molto importante e positivo – dice Sabahattin Ertin, un abitante di Istanbul – Questo conflitto ci rende tutti nervosi: madri e padri, soldati, cittadini turchi e curdi. Siamo cresciuti insieme, la maggioranza delle persone vuole la pace”.

Diyarbakir, 1 milione e mezzo di abitanti, è la più grande città della Turchia a maggioranza curda. Ha sofferto il peso delle conseguenze della guerra, come la negazione, per decenni, della propria identità curda. Oggi sogna, attraverso dei negoziati politici, l’autonomia e il riconoscimento della propria lingua.

La questione curda verso una sua soluzione, dunque? Ne parliamo con lo scrittore e intellettuale curdo, Enver Sezgin.

Bora Bayraktar, euronews
Qual è il prossimo passo? Cosa succederà ora?

Enver Sezgin, scrittore e intellettuale curdo
Penso che, se il ritiro dovesse concretizzarsi, il Parlamento dovrà prendere una decisione. Il punto più importante è la sicurezza durante il ritiro delle forze del PKK. Il governo dovrebbe farsi carico di questa responsabilità. Bisogna fare molta attenzione in questa fase per evitare che succeda come nel 1999, quando le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco e molte persone sono state uccise. Quindi c‘è molta diffidenza e dobbiamo superarla. Il primo ministro intende farsi garante ma alle sue parole debbono seguire le azioni. Dovrebbe esserci un piano per il reinserimento del PKK e del loro leader in Turchia e nella società civile. Ma, nello tempo stesso, non è solo un problema di disarmo. Dovrebbe esserci una soluzione alla questione curda in un clima sereno e in maniera democratica. Altre tappe saranno necessarie.

euronews
Quali saranno queste tappe?

Sezgin
Si tratta innanzitutto di un problema costituzionale. Il parlamento sta lavorando a un nuovo testo, che deve essere democratico ed essere la base per la soluzione del problema curdo. La definizione di cittadinanza deve essere modificata. La costituzione deve essere neutrale ed egualitaria rispetto a tutti i gruppi etnici. La lingua non dovrebbe essere un ostacolo per l’istruzione. Queste misure possono fornire la soluzione: l’istruzione in madrelingua, la definizione di cittadinanza e la partecipazione di tutti al processo decisionale, voglio dire al governo.

euronews
Lo slogan di questo Capodanno curdo è stato “libertà per Ocalan” e uno “Stato per i curdi”. Pensa che la situazione di Ocalan possa cambiare?

Sezgin
Dalle riunioni sull’isola di Imrali dove è detenuto, emerge che Ocalan non vuole che il suo caso per il momento rientri nelle trattative. Resta inteso che ciò può avvenire successivamente, in futuro se ne potrà discutere. Se arriviamo alla pace … Abdullah Ocalan è in carcere da 14 anni. Con la pace, le persone cambieranno la loro visione delle cose. Tutto ciò potrà allora rientrare nell’ordine del giorno delle parti in causa al fine di risolvere la questione.

euronews
Alla fine di questo processo, lei pensa che il problema verrà risolto, si arriverà alla fine del conflitto?

Sezgin
Prima di tutto la pace è un processo difficile. Non può avvenire semplicemente riunendo poche persone intorno a un tavolo. Certo, questo è un passo importante ma stiamo parlando di pacificazione e ciò richiede tempo Purtroppo è stato versato del sangue, questo non può essere risolto in pochi mesi. Si tratta di un processo al termine del quale vedremo le diverse comunità vivere in pace in Turchia.

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