Saeb Erekat e Yossi Beilin: due punti di vista a confronto sullo stallo dei negoziati di pace in Medio Oriente

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Di Euronews
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Lo stallo dei negoziati di pace in Medio Oriente è stato uno dei temi più discussi al forum Medays, che si è svolto questo mese a Tangeri, in Marocco.

Palestinesi e israeliani hanno denunciato i principali ostacoli. Euronews ha intervistato il negoziatore capo palestinese, Saeb Erekat, e l’ex ministro israeliano Yossi Beilin, promotore dell’iniziativa di Ginevra.

Erekat è pessimista. Accusa il governo israeliano di boicottare il processo.

Euronews: Quali sono le prospettive attuali dei negoziati di pace israelo-palestinesi?

Saeb Erekat: C‘è una chiusura totale. Purtroppo, il primo ministro israeliano Netanyahu ha scelto la colonizzazione a detrimento della pace. Di conseguenza, il governo israeliano deve assumere interamente la responsabilità del fallimento di questi negoziati diretti avviati sotto impulso del presidente americano Obama il primo settembre; negoziati che erano votati a un insuccesso ancor prima che iniziassero, il 26 settembre scorso, perché Israele ha scelto di continuare la colonizzazione. Fin dall’inizio, il presidente palestinese Mahmoud Abbas aveva avvertito gli israeliani che, se volevano negoziati diretti, avrebbero dovuto porre fine alla colonizzazione in modo definitivo, anche a Gerusalemme.

Euronews: Come valuta la situazione attuale nei territori palestinesi e quale rischio comporta l’espansione delle colonie per la sicurezza dei palestinesi?

Erekat: La situazione è molto grave. Il proseguimento della politica della colonizzazione significa che continuano a essere ampliati gli insediamenti israeliani, costruiti muri, effettuati arresti. Ai palestinesi della Striscia di Gaza è imposto un embargo inumano e ingiusto su prodotti alimentari e medicinali, con lo scopo di esercitare pressione su un milione e mezzo di persone.

Il governo israeliano si ostina a continuare questa politica di colonizzazione e a mantenere lo status quo perché vuole approfittarne, perché la considera una fonte di potere.

Credo che l’Autorità palestinese non accetterà più questa situazione.

Euronews: Gli americani riusciranno a convincere gli israeliani a mettere fine alla costruzione delle colonie per rilanciare i negoziati?

Erekat: Israele è parte integrante della vita politica americana, Israele è un alleato strategico degli Stati Uniti, quindi gli Stati Uniti devono imporre a Israele il congelamento di tutte le attività di colonizzazione, anche a Gerusalemme est.

Secondo il presidente Obama, mettere fine alla colonizzazione e creare uno stato palestinese indipendente è un interesse nazionale, è un interesse americano.

Dopo l’invasione di Iraq e Afghanistan, nella regione ci sono 230mila soldati e questo significa che il ruolo degli stati si è modificato. Bisogna riconoscere che se Israele non smette di ampliare le colonie, l’intera regione sarà esposta a un pericolo imminente di instabilità e di insicurezza.

Euronews: Come giudica la richiesta di Israele di essere riconosciuto dai palestinesi come stato ebraico?

Erekat: E’ una richiesta inaccettabile che non sarà mai presa in considerazione.

Il 9 settembre 1993 è avvenuto uno scambio di lettere di riconoscimento tra l’Organizzazione per la liberazione palestinese rappresentata da Yasser Arafat e il primo ministro israeliano che all’epoca era Issac Rabin. La questione è chiusa.

Chiederci di riconoscere Israele come stato ebraico equivale a chiederci di sottoscrivere il movimento sionista.

Euronews: Quali sono le opzioni dei palestinesi e del presidente Abbas, se i negoziati con gli israeliani si confermeranno un fallimento?

Erekat: La prima alternativa è quella che Abbas ha proposto ai leader dei paesi arabi: contribuire alla riuscita degli sforzi di Obama per imporre a Israele il congelamento delle attività di colonizzazione e la ripresa dei negoziati, per concentrarsi sul tema dei confini e della sicurezza.

Se entro la fine del mese Obama non riuscirà a imporre a Israele il blocco della colonizzazione, chiederemo agli Stati Uniti di riconoscere lo stato plaestinese secondo i confini del 1967, con Gerusalemme come capitale.

Se gli Stati Uniti non accetteranno questa iniziativa, allora presenteremo alle Nazioni Unite la nostra candidatura affinché la Palestina diventi membro dell’Onu.

Se il dossier sarà accettato senza il veto americano, chiederemo ai membri dell’Onu di riconoscere lo stato palestinese con le frontiere del ’67 e Gerusalemme capitale.

Se invece gli Stati Uniti imporranno il veto, ricorreremo al principio dell’Unione per la pace, iscritto nella risoluzione 337 del 1950, che conferisce all’Assemblea generale gli stessi poteri del Consiglio di sicurezza per riconoscere lo stato palestinese.

Un’altra possibilità è ottenere un mandato internazionale per la Palestina, e ne stiamo valutando la fattibilità.

L’ultima alternativa è chiedere che sia fatta valere la quarta convenzione di Ginevra del 1949 sulla protezione dei civili nelle zone di conflitto. Che sia fatta valere per tutta la palestina, compresa Gerusalemme est.

Nel 2003, Yossi Beilin sostenne una proposta per la pace nota come iniziativa di Ginevra. Oggi è molto critico sull’operato del governo Netanyahu.

Euronews: Il premier israeliano Netanyahu dice che non può estendere la moratoria sulle attività edilizie in Cisgiordania perché questo provocherebbe la crisi del suo governo di coalizione. La caduta di un governo è più importante del processo di pace?

Yossi Beilin: Spero nella caduta di questo governo, penso che sia uno dei peggiori governi che Israele abbia vuto. Non credo che ci sia un rischio reale per il governo, ma se Netanyahu dicesse la verità sarei contento.

Euronews: Come giudica la politica di Netanyahu e la minaccia di invadere la Cisgiordania, qualora Abbas chiedesse unilateralmente il riconoscimento dello stato palestinese?

Beilin: Preferirei un accordo condiviso, piuttosto che una decisione unilarale. Perché se domani i palestinesi dichiarano di avere uno stato, avranno in realtà soltanto il 40% della Cisgiordania, niente più di questo. Quindi, anche se il mondo o alcuni paesi riconosceranno lo stato palestinese in base ai confini del ’67, fin tanto che Israele non accetterà di ritirarsi dalla Cisgiordania, resterà soltanto una dichiarazione. Per questo credo che sarebbe una mossa sbagliata.

Euronews: Israele chiede ai palestinesi di essere riconosciuto come stato ebraico. Come spiega il senso di questa richiesta?

Beilin: La richiesta non è nuova e penso che non possa essere esclusa dai negoziati. Stando all’iniziativa di Ginevra, credo che sia possibile trovare una facile soluzione al problema. Penso che noi dovremo riconoscere la Palestina come la patria dei palestinesi, e i palestinesi dovranno riconoscere Israele come la patria degli ebrei, senza alcun pregiudizio nei confronti delle minoranze che vivono in entrambi gli stati. Penso che la soluzione del problema sia nelle mani degli americani. Penso che il senatore Mitchell abbia fallito nella sia missione e che dovrebbe essere sostituito. Penso che il presidente Obama dovrebbe mettere in piedi un meccanismo per lavorare intensamente con i palestinesi, fino a che succeda qualcosa. Oggi non è così. Un ennesimo discorso, un ennesimo incontro tra Netanyahu e Hillary Clinton non cambierà il mondo.

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